martedì 21 marzo 2017

Retorica bolsa

                                                                                   
Che l’adozione preliminare della variante del Burchio sarebbe passata senza defezioni né da una parte né dall’altra era scontato. Dodici a cinque doveva essere e dodici a cinque è stato. Il consiglio comunale di lunedì non ha incantato nessuno, anche se c’è stato del bello e del nuovo. Ma, ahinoi, il bello non era nuovo e il nuovo non è sembrato bello. Mi spiego.

Per me il bello è stato Giovanni Giri, che però non è nuovo, mentre il nuovo avrebbe potuto essere Giancarla Grilli o Alessandro Rovazzani, che però non sono apparsi belli. Chiarisco. Di Giovanni Giri mi è piaciuto il suo ponderato argomentare e la sua idea di fondo che un corretto e armonico sviluppo urbanistico di una città deve riguardare il territorio nel suo complesso e non già singole particelle di esso. Ma Giri non è il nuovo, perché i suoi concetti sono stati già elaborati da altri e anche sviluppati in ben diversa direzione, rispetto alla sua. Insomma, una lezione da professore ma non da imprenditore.

Giancarla Grilli potrebbe essere il nuovo, ma non il bello, in quanto non si confà a una signora usare l’invettiva come modalità comunicativa. Alessandro Rovazzani non ho avuto il piacere di ascoltarlo per un impegno di una mezzoretta che mi ha costretto a lasciare la sala consiliare, cosicché non ho sentito né lui ne Sauro Pigini. Ma mi sono arrivate molte telefonate di biasimo sul suo comportamento. Poi dirò perché, ma qualcosa avevo capito ascoltando la dichiarazione di voto di Pina Citaroni.

Di Loredana Zoppi mi è piaciuta la sua solita incisività a prescindere dai contenuti, che comunque non sono stati da sottovalutare. Di Sauro Pigini ho già detto. Come si vede mi sono orientato più sullo stile dei singoli oratori che sul contenuto dei loro interventi, perché spesso la forma, soprattutto in politica, è anche sostanza, e una cattiva forma è anche cattiva sostanza.

Prendiamo ad esempio il rivolgersi di alcuni consiglieri della minoranza ai colleghi della maggioranza con toni odiosamente paternalistici. “Ma che fate, pensateci bene. Venite sulle nostre posizioni, le uniche giuste. Siete un po’ obnubilati, lo capiamo, ma non fatevi abbindolare. Svegliatevi, non votate questa robaccia. State sbagliando e non ve ne rendete conto”, e via con queste stucchevoli e antipatiche menate paternalistiche. Come non bastasse, eguale intrusione nella sfera delle libertà personali è stata attuata anche nei confronti del segretario generale, che è un semplice funzionario. 

Insomma, bolsa e insinuante retorica che induce a considerare rinsavito chi abbandona le proprie posizioni per venire sulle nostre, mentre considera un voltagabbana o un traditore chi dalle nostre posizioni passa a quelle dell’avversario.  E poi: “Voi votate per una cosa che non conoscete e vi rassegnate a seguire gli ordini del padrone. La realtà la conosciamo noi che non ci lasciamo irretire dai potenti”. Ecco una cattiva forma che diventa cattiva sostanza. Tutto ciò è mancanza di rispetto per la persona, per il collega e per la stessa istituzione Consiglio comunale, e chi la subisce dovrebbe sentirsene mortalmente offeso. Essere trattati da bambini idioti non fa piacere a nessuno.

Comunque, anche questo consiglio comunale ha messo in evidenza una consolidata unità d’amorosi sensi - che personalmente non apprezzo -  tra i gruppi di minoranza. Ma non perché hanno tutti votato No al Burchio – ho già detto sopra che era scontato – bensì perché tutti indistintamente hanno detto di non essere contrari agli alberghi. Qualcuno ha detto che gli andrebbe bene persino quello del Burchio, se non ci fossero le villette intorno. Un giorno parleremo anche di questo, se sia più “ambientalmente corretto” un albergo o una villetta.      



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