lunedì 24 aprile 2017

Eutanasia



Nei giorni scorsi, la Camera ha approvato la legge sul biotestamento. Il testo ora passerà al Senato per l'approvazione definitiva. L’articolo 3 di detta legge dispone che ogni persona maggiorenne capace di intendere e di volere, in previsione di una propria futura incapacità di autodeterminarsi può, attraverso disposizioni anticipate di trattamento, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari. 

Chi è contro questa legge teme che questa sia l’anticamera dell’eutanasia nella sua forma più radicale.

Oggi si comprendono nel termine “eutanasia” gli interventi medici, attivi o passivi, volti a interrompere la sofferenza di una persona malata terminale previo suo inequivocabile consenso. In greco antico eutanasia significa letteralmente “buona morte”.

Si parla di eutanasia passiva quando il medico si astiene dal praticare cure volte a tenere ancora in vita il malato; di eutanasia attiva quando il medico causa direttamente la morte del malato; di eutanasia attiva volontaria quando il medico agisce su richiesta esplicita del malato. Nella casistica si tende a far rientrare anche il cosiddetto suicidio assistito, ovvero l’atto autonomo di porre termine alla propria vita compiuto da un malato terminale in presenza di un medico e con mezzi da lui forniti.

L’eutanasia attiva, in Italia è assimilabile all’omicidio volontario. Nel caso si riesca a dimostrare il consenso del malato – omicidio del consenziente – le pene vanno comunque dai sei ai quindici anni di carcere. E' proibita anche l'eutanasia passiva, pur essendo difficile dimostrare la colpevolezza del medico. 

Secondo la Chiesa cattolica, la vita è stata donata da Dio e solo lui può disporne, ragion per cui l’eutanasia è un omicidio. È al massimo ammessa la fine delle terapie qualora venissero ritenute sproporzionate. È chiaro che una posizione del genere si pone esclusivamente dal punto di vista del medico e non da quello del paziente sofferente. In passato, anzi, talvolta questa sofferenza era ritenuta un modo di “partecipare” alla passione di Gesù e ancora oggi l’Italia è clamorosamente indietro nella somministrazione di morfina ai malati terminali.

Non tutte le chiese cristiane la pensano però così. Diverse chiese protestanti hanno infatti assunto posizioni più liberali e alcune chiese minori riconoscono apertamente il diritto dell’individuo di disporre della propria vita. Per i valdesi l’eutanasia “è un diritto che va riconosciuto”.

Nel marzo 2015 Marco Cappato, Mina Welby e Gustavo Fraticelli hanno iniziato una disobbedienza civile fornendo informazioni e dando supporto logistico alle persone malate terminali che volevano rivolgersi ad associazioni svizzere. Da quella data, sono state aiutate 230 persone presentatesi in forma non anonima.

Per Cappato, “lo Stato non ha alcun titolo per impedirci di fare qualcosa se non danneggia gli altri”. Per l’UAAR, “tutti i sondaggi condotti negli ultimi anni attestano che la maggioranza degli italiani è favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia”. Il 13 luglio 2000 l’allora Ministro per la Sanità Sandro Veronesi ha affermato che “l’eutanasia non è un tabù”, e che una soluzione al problema deve essere trovata in tempi brevi.

In estrema sintesi, chi è a favore sostiene che l’eutanasia è un modo per tutelare la libertà umana, ma soprattutto la dignità di ognuno. A volte ci sono patologie talmente devastanti da rendere la vita un supplizio tanto per il malato che per chi gli sta intorno. Se lo si decide, si deve poter essere liberi di porre fine ad una sofferenza che non ha possibilità di guarigione. Nel caso di persone tenute in vita artificialmente, l'eutanasia è vista come il semplice lasciare che la vita segua il suo corso naturale.

Chi è contro l’eutanasia, invece, sostiene che la vita umana deve essere tutelata fino ai suoi estremi, e che nessuno, nemmeno relativamente a se stesso, può arrogarsi il diritto di porle fine prima del suo esito ultimo.



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