giovedì 15 giugno 2017

Di pancia



Verso la metà del dicembre 2010, mi telefonarono Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo del Corriere della Sera. Intendevano realizzare un servizio giornalistico sull’Hotel House. Il Corriere aveva già inviato una sua giornalista e una troupe per la realizzazione di un servizio da inserire in un dischetto da distribuire in allegato al giornale. Ma il servizio non era piaciuto, perché troppo lontano dagli articoli da me scritti sullo stesso argomento. Perciò mi telefonarono – ricordo che era l’ora di cena – per avere informazioni più attendibili sul palazzone.

Il servizio uscì 18 dicembre 2010 sulle pagine dedicate al 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Ricordo soprattutto un episodio, di quel lunghissimo colloquio telefonico, lo stupore dei due colleghi quando dissi loro che a Porto Recanati avevamo quasi il 23% di residenti stranieri. “Non sembra verosimile – dissero. Quassù, in Lombardia, si fa casino per un 6-7%”.

Facciamo ora un salto fino a oggi. Mercoledì mattina ho seguito la trasmissione di Rai 3 Agorà, dove c’era qualcuno collegato che si lamentava perché nel suo intonso paese – 400 anime – volevano mandare 26 immigrati. Parliamo di un 6,9% del totale. In studio gli ospiti si sono subito scatenati chi pro chi contro l’immigrazione, ritenuta mortifera da una parte e salvifica dall’altra. Il conduttore Gerardo Greco di fronte a cotanta foga si è giustificato dicendo: “Che volete, questa è una trasmissione di pancia”.

Il giorno prima, Beppe Grillo aveva giustificato un suo parlamentare un po’ agitato e aggressivo dicendo che il loro è un movimento di pancia.  

Ora torniamo al nostro quasi 23% di immigrati. Il 2 aprile scorso – in considerazione del fatto che Lampedusa con 266 stranieri su circa 6.000 abitanti era stata candidata al Premio Nobel per la Pace – mi buttai e scrissi ch è tempo che sia Porto Recanati a essere candidata allo stesso premio, dal momento che di stranieri residenti ne conta 2.788. Dieci volte più di Lampedusa con poco più del doppio di abitanti. Salvati cielo, i soliti trinariciuti me ne hanno scritte di tutti i colori. Tutto cestinato, ovviamente.

Io ritengo che il mio sia stato un intervento assolutamente razionale e quindi non pretendevo che potesse essere capito da certa gente. Gente di pancia, come si continua a dire con una certa insistenza, che proprio per questo avrebbe potuto giudicare il mio come un discorso di pancia.

Non mi avrebbe fatto piacere, ovviamente, perché sappiamo tutti di che tipo di rumori e di odori è capace la pancia.

Ma nonostante ciò – e volevo arrivare proprio a questo – sembra che i nostri sindaci di questi rumori e odori non possano fare a meno e quindi si sono buttati anche loro a celebrare la pancia. Ma un Comune di pancia non può far altro che dar sfogo all’irrazionale. Ne abbiamo bisogno?

Ora, dato alla pancia ciò che è della pancia, cerchiamo – noi che siamo impegnati a darci un diverso decoro – di rimetterci sul piano del razionale, che è quello di conoscere l’ambiente in cui viviamo: i suoi problemi, i suoi bisogni. Questa è trasparenza, non certi artifici contabili o l’orario in cui bisogna pulire le latrine pubbliche.

Torniamo dunque alle percentuali di cui sopra. Sono da far venire i brividi. 

Da tempo immemore andiamo dicendo che a Porto Recanati serve un osservatorio sull’immigrazione, ma sembra che questa trasparenza non piaccia a nessuno. A Porto Recanati è più facile trovare un chilo di cocaina che un chilo di panocchie, ma questa esilarante realtà non preoccupa nessuno. 
  
Qui servono le scogliere, prima che il mare ci porti via, ma l’argomento non sembra di attualità. E che dire dei fiumi e dei fossi? A qualcuno fa addirittura comodo che siano allo stato brado, cosa che gli consente di rallegrarsi per il fatto che la nostra città non è più bandiera blu.

E del porto, che ce ne frega? A noi non interessa il turismo, noi abbiamo sposato il modello Guzzini: alberi sul bagnasciuga e costumi di canapa grezza. A tutto questo porta il parlar di pancia.  


 Nei prossimi giorni parleremo della difesa della costa e poi del porto, visto che della scuola non possiamo più parlare.          

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